venerdì 28 agosto 2009

Appunti sull' elogio dell' imbecille di Pino Aprile, corrispondenza con un prof. amico di Konrad Lorenz

Appunti sull' elogio dell' imbecille di Pino Aprile, corrispondenza con un prof. amico di Konrad Lorenz


Non crede possibile che molti comportamenti umani tendano a ridurre e non ad aumentare l' uso della intelligenza? E che una cosa del genere sia indotta, o addirittura imposta, dalla società, dalla cultura? Che possa esserci una sorta di selezione culturale ( e forse persino naturale ) che ci condiziona, per costringerci all'imbecillità?

Nell'uomo la selezione culturale è molto potente, forse ormai più incisiva di quella naturale; i comportamenti sociali, o comunque indotti dalla società, tendono a condizionare ed indicizzare le scelte dei singoli.

Il genio umano escogita vie d' uscita per ( quasi ) ogni necessità della nostra vita. E una volta scovata la soluzione del problema, non ci è più necessario far uso della nostra intelligenza: basta copiare. Ma replicare non è inventare; così, le nostre doti intellettuali avvizziscono, perché non stimolate.

L' evoluzione umana è legata al continuo aumento delle facoltà intellettuali. E questo aumento è stato prima quantitativo, poi qualitativo.

Einstein si domandava come mai l' uomo avesse inventato tutto quando vagava sul pianeta in pochi milioni di esemplari, e quasi nulla ora che formicola a miliardi. A questo punto non trovò risposta.
La stupidità intimidisce i grandi, perché ne intuiscono le proporzioni e la pericolosità ( al contrario dell'intelligenza, non ha limiti) .

E che fare degli intelligenti che, nonostante tutto, e in numero sempre più ridotto, continuano a nascere? Eliminarli. La selezione non è solo naturale, è anche culturale; e da molte migliaia di anni lo Homo sapiens sapiens elabora comportamenti e sistemi sociali che provocano lo sterminio dei migliori .

Ogni forma di organizzazione sociale umana ( monarchia, democrazia, dittatura...) lavora contro l'intelligenza e le sue espressioni. Il potere appena può comincia a dar fuoco ai libri.
Il potere di una organizzazione sociale umana è tanto più forte, quanto maggiore è la quantità di intelligenza che riesce a distruggere.

L' insulto ipossico non è altro che una temporanea mancanza d' aria: dal momento in cui il cordone ombelicale viene reciso a quello in cui emette il primo vagito, il neonato non riceve più ossigeno tramite la madre e non è ancora in grado di procurarsene da solo, con il proprio apparato respiratorio. Tra gli altri effetti, questo brevissimo, ma fatale, intervallo asfittico provoca lo sterminio di una certa quantità di cellule neuronali: non meno di 200 o 300 milioni. La cifra non è molto in percentuale, molto alta su un totale di parecchi miliardi, ma si tratta pur sempre di un trauma che raccorcia le capacità intellettive del neonato.

I tessuti che formano il cervello sono i più deperibili di tutto il corpo. Si sviluppano molto rapidamente
nei primi cinque anni di vita; poi continuano a crescere, ma a un ritmo sempre più lento, fino ai vent' anni. Una volta raggiunti i livelli massimi, inizia il deperimento, prima quasi impercettibile ( dai vent' anni in poi muoiono da 50 a 100 mila cellule cerebrali al giorno: circa duemila, quattromila all' ora) ; poi sempre più veloce, inarrestabile, verso la demenza senile.

Al tempo dell' uomo di Neanderthal era normale trovare gente con crani da 1.600 centimetri cubici a 1750 cm cubici, con un peso di circa due kg; l' uomo moderno oggi ha una scatola cranica che si aggira poco più di 1300 – 1350 cm cubici.
Jury Lotman, aveva definito la cultura il cervello della società. E intendeva quel' insieme di conoscenze teoriche e pratiche che possediamo con gli altri membri della comunità.

Ogni colpo di genio, ogni invenzione lascia un sedimento materiale, sia esso un oggetto o un modo di agire... Si chiama utensile. E' tale ciò che può essere adoperato anche dal più idiota.
Utensile può essere uno strumento tecnico, ma anche un metodo logico, una forma di organizzazione sociale e ogni altra cosa che, frutto dell'intuizione di una mente geniale, possa essere adoperata da chiunque, << anche dal più idiota>>. Oggi il mondo stesso è a misura dell'imbecille, al punto che macchine complesse e pericolosissime, organizzazioni planetarie, strutture basilari per la vita umana sono nelle mani di persone universalmente conosciute come cretini, psicotici, affetti da malattie invalidanti delle facoltà che più parrebbero necessarie a certi livelli ( equilibrio, saggezza, intuizione, tolleranza, altruismo, intelligenza) . Basterà pensare a chi erano, nei momenti di maggior tensione e pericolo, i leader delle potenze mondiali, i padroni del destino della Terra. Si diceva che Gerry Ford, il presidente degli Stati Uniti nella prima metà degli anni Settanta, fosse incapace di fare due cose assieme: scendere dalla scaletta dell'aereo e masticare chewing gum. Leonid Breznev, uno dei più longevi leader della vecchia Unione Sovietica, quando non era ubriaco, appariva quel che era: un alcolizzato. Per distruggere il pianeta, avrebbero dovuto solo pigiare un bottone. In quale specie animale due così sarebbero diventati capobranco? Solo fra gli uomini.........


Nella specie umana, le acquisizioni dell'intelligenza si depositano nella cultura, diventano memoria della società. E si trovano, così, a disposizione di tutti. Si ha, a questo modo, un passaggio di conoscenza da tutti a uno e da uno a tutti.


( Perché il capo è un imbecille?-------------------------------------------------------------------------------------)
Lo straordinario sviluppo dell'intelligenza umana avrebbe avuto, come conseguenza estrema, quella di deprimere se stessa, di rendersi superflua.
Nel mondo c' è un numero di imbecilli che non cessa di sorprendermi. Questa situazione è resa ancora più interessante dal fatto che molti, tra questi, occupano posizioni di prestigio e di notevole potere, per cui esercitano una grande influenza sulla vita dei loro simili. Anch'io ho cercato di spiegarmi non solo perché ci siano tanti stupidi, ma perché riescano a fare delle eccellenti carriere.
La risposta, a mio parere, sta nella debolezza umana, e nell'uso insufficiente dell'intelligenza. Il successo di un uomo politico imbecille si spiega col fatto che, in un modo o nell'altro, ha saputo lusingare i lati deboli dei potenti e delle masse. E che, proprio per la sua stupidità, viene ritenuto non pericoloso e più adatto a ricoprire incarichi che una persona di genio gestirebbe con ben altra autorità. Non c'è bisogno di invocare la fine dell'intelligenza! ( questo mi fa pensare a Berlusconi )

Nessuno aveva mai davvero analizzato il problema dell'imbecillità, chiedendosi da dove questa derivi, molti si sono dedicati allo studio dei meccanismi che ne assicurano la diffusione, facendo sì che gli stupidi riescano ad influenzare profondamente la vita di tutto il genere umano ( compresi gli intelligenti ) . Uno dei più noti moltiplicatori di imbecillità è il cosiddetto principio di Peter ( Larence Peter ), che recita : << In qualsiasi gerarchia, ognuno tende ad essere promosso, finché non raggiunge il suo livello di incompetenza; pertanto, ogni incarico è destinato a finire nelle mani di un incapace >>.
Si tratti di strutture aziendali, culturali, politiche, religiose o altro, la regola non cambia.
Chi entra in un sistema gerarchico e svolge bene il proprio lavoro,di solito ” fa carriera ” ; sale sul gradino superiore nella scala. Se anche in quella posizione si dimostra efficiente è ragionevole pensare che sarà ancora promosso . E così via. A questo modo, occupa livelli sempre più elevati, di maggiore responsabilità; ma le complicazioni crescono di pari passo ed aumentano la quantità e la qualità dello impegno e delle doti richieste. Fino a quando il nostro uomo ottiene un incarico con un grado di difficoltà superiore alle sue capacità.
A quel punto, si rivela inefficiente, e la sua carriera si arresta. Attenzione : non verrà degradato, retrocesso ad una posizione adeguata alle sue doti. Continuerà ad occupare il posto che ha fatto emergere la sua natura di incapace e per il quale si è dimostrato inadatto.
Questo principio ha un difetto: è fondato sul presupposto della razionalità. Voglio dire: parte dall'idea che, in una gerarchia, i comportamenti umani, almeno fino ad un certo punto, siano ispirati a criteri ragionevoli . E' in base ad un principio intelligente ( secondo Peter) che viene promosso il migliore, anche se verrà il momento in cui si rivelerà un imbecille. Ma fino ad allora, il meccanismo obbedisce a regole logiche. Non sei scemo, operi bene, e vai avanti; quando ti scopri incapace, la tua corsa finisce. Come mai nonostante il dilagare della stupidità il mondo và a gonfie vele? L' intelligenza non è (più) necessaria per far marciare il mondo: l' imbecillità sa farlo altrettanto bene. E persino meglio.
Il cretino non solo non ha una funzione negativa, ma anzi ha assunto un ruolo salvifico: la sopravvivenza della nostra specie dipende ormai dall'imbecillità, come un tempo dall'intelligenza.
L' imbecillità è necessaria alla sopravvivenza della nostra specie, per quanto possa dar fastidio agli intelligenti rimasti. Se davvero l' imbecillità avesse una funzione distruttiva, le società umane sarebbero al collasso: invece godono di ottima salute e si moltiplicano . Evidentemente, è proprio LA STUPIDITÀ CHE SOSTIENE LE STRUTTURE SOCIALI e ne garantisce il futuro.
Le burocrazie, dunque, contrariamente a quanto male si pensa di loro, hanno una funzione positiva, non malgrado, ma proprio perchè accrescono il numero ed il potere dei cretini. La gerarchia è lo strumento che l' evoluzione ha inventato per raggruppare i sapiens sapiens e costringerli alla demenza.
Se la guerra, espressione dell'aggressività umana, raduna i migliori della specie per sterminarli, il sistema burocratico, espressione del nostro istinto sociale, mette assieme i cervelli e li spegne: è la continuazione della lotta dell'intelligenza, condotta con altri mezzi.

Regola numero uno: << ricorrere alle cose intelligenti, solo dopo aver esplorato le infinite possibilità dell'ovvio >>.
Nelle gerarchie conta chi fa qualcosa, non chi cerca il modo migliore di farla.
L' intelligenza, per le società umane, è sabbia negli ingranaggi; rischia di farne inceppare i meccanismi.
L' intelligenza, mentre valuta con spirito critico il funzionamento delle strutture sociali, di fatto lo rallenta o lo interrompe. Ecco perché la stupidità è necessaria: è la vera linfa vitale della società umana. E' la regola, il motore che la fa marciare.

Le grandi aziende, sono sorte per l' energia e la capacità ( anche visionaria) di persone di valore.

.
Le grandi doti intellettuali non si prestano a venir tradotte in un insieme di regole: si esprimono con la creatività, l' originalità, non solo con il metodo. E poi, anche se fosse possibile codificare le azioni geniali, sarebbero necessarie persone di straordinario talento per garantirne l' esecuzione. E' una burocrazia che dovesse dipendere, per il proprio funzionamento, da una merce così rara come il genio, sarebbe spacciata in partenza. L' organizzazione deve poter sopravvivere senza le doti del cervelluto padre fondatore. Può farlo solo se scende alla misura dell'imbecille, in modo da non aver alcuna difficoltà nel reperimento della materia prima. Questo intendeva Stalin, quando disse che persino una cuoca può sostituire un capo di stato (sconsiglierei il contrario) . Se l' organizzazione sociale funziona, non c'è alcuna possibilità di errore: è a portata di cretino ( e chi la guida, o ci fa, oci è) .


Capita che alcuni leader mantengano artificiosamente alti compiti richiesti all' interno della struttura che guidano. Lo fanno per rendersi indispensabili, insostituibili ( se anche uno stupido fosse in grado di svolgerne i compiti, rischierebbero il posto) . Di norma, si tratta di manager di primo piano, bravissimi, ma deleteri, perché, a questo modo, tengono sotto ricatto le aziende ad essi affidate e le condannano a traballare o a sfaldarsi, quando le lasceranno. Violano, la regola fondamentale per il consolidamento e l' efficienza di ogni burocrazia: sminuire continuamente il livello delle qualità minime richieste per farne parte, in modo da espanderla, abbassando il vertice ed allargando la base.
La soluzione più frequente di solito, questa: dividere i suoi compiti fra più persone, per supplire con la quantità al calo di qualità. C' è la mezza convinzione che si possa ottenere un genio sommando due mezzi geni . Appare logico che quello cui era capace un grande, da solo, possa riuscire ad una coppia di mediocri. Ma non è così: ci si accorge ben presto che l' intelligenza non cresce con l' addizione. La non sommabilità dell' intelligenza si rivela essre il grande limite della nostra specie. Con la stupidità, al contrario, l' addizione funziona.
Pertanto le strutture sociali più stupide prosperano, quelle più intelligenti, muoiono. Ne consegue che:
L'imbecillità può solo aumentare.

L' incompetente tende a nascondere la propria incompetenza dietro l' aumento delle competenze. Chi non è capace di fare una cosa, cercherà di farne molte ( se devo fare tutto io, non posso farlo anche bene. E' già tanto che riesca a ....)

Lord Northcot Parkinson diceva, che qualsiasi burocrazia per il semplice fatto di esistere, tende a crescere del 5% annuo.

Ormai ai vertici delle organizzazioni umane ci sono persone che cumulano su di sé una quantità di mansioni impressionante. Si sommano il principio di Peter (a) e la legge di Parkinson (b): <>. Tale sistema (potremmo chiamarlo moto ascendente delle gerarchie, perché porta i più stupidi dal basso in alto) .

Konrad Lorenz diceva: L' economia cresce in maniera esplosiva, da tutte le parti. I sostenitori di questo modello di sviluppo affermano che le aziende devono continuare a ingrandirsi o falliranno. E, per giustificare questa tesi, aggiungono che anche gli alberi crescono continuamente. La crescita sarebbe insomma un fatto naturale.... ma solo fino ad un certo punto. << Gli alberi non crescono mai fino al cielo >>, persino quelli secolari ad un certo punto si fermano . Per tutti gli esseri viventi , diventare troppo grandi, vuol dire diventare vulnerabili, e condannati all'estinzione. Come i dinosauri: di crescita si può morire

Un acuto ricercatore, Erich von Holts, si interessò ai cabacelli, minuscoli pesci che si spostano in branco alla ricerca del cibo. Ogni tanto, uno di loro si stacca dal gruppo e nuota, da solo in una direzione diversa. E non è detto che sia quella giusta: potrebbe non esserci cibo, di là, o persino nascondersi un predatore in agguato. Il cabacello indipendente si volta a guardare cosa fa il branco; soltanto se gli altri, convinti della sua scelta, lo seguono in numero sufficiente, lui, confortato, prosegue
Altrimenti, rientra nel mucchio. E' il modo d' agire tipico degli animali che vivono in branchi, in stormi.
Von Holts privò un esemplare della parte del cervello, quella che sovraintende alle attività di gruppo, alla vita sociale. Il pescetto continuò a comportarsi in tutto e per tutto come gli altri ma, quando si separava dal branco, non si girava più indietro per osservarne le reazioni. Lui tirava dritto, senza esitazioni. E l' intero branco lo seguiva. L' unico pesce senza cervello era diventato il capo indiscusso . E proprio a causa del suo difetto .

Le persone intelligenti stentano a rendersi conto di quanto l' imbecillità sia grande.
<>.
<>.

Il più si abbassa al livello del ” meno ” , altrimenti il ” meno” non capirebbe niente ed ogni tipo di relazione diverrebbe impossibile. Questo è il moto discendente che regola i rapporti fra gerarchie e ne aumenta le dimensioni e il grado di imbecillità . Indipendentemente dai talenti personali, in una burocrazia, per convenzione, chi occupa un posto inferiore è inferiore . Al contrario in un cenacolo di geni, conta solo il libero e mutuo riconoscimento del rispettivo valore.
In una burocrazia, il capo è il capo, perché occupa tale posizione, non perché sia il migliore. E può benissimo essere più scemo dell'ultimo fattorino: non vuol dire nulla, è lui che comanda; perché lui è il capo.
I giudizi di valore sono del tutto assenti nei sistemi burocratici, perché la struttura gerarchica li ha resi inutili ed ha così sancito la fine del vantaggio costituito dall'intelligenza . L'imbecillità è al potere. Ed il potere non ha bisogno di genio.
Nell'antico Egitto il ladro più ingegnoso non veniva castigato, gli si riconosceva, in premio, parte del bottino. Per il furto? No ( era reato ), per l' intelligenza. L'Egitto aveva bisogno di genio e cercava di farlo emergere in tutti i modi. Un ladro intelligente può diventare onesto; un cretino probo resta cretino, e c'è il rischio che si metta pure a rubare.
Oggi il codice punisce con una pena maggiore il furto con destrezza. Per il furto? No, per la destrezza. Il nuovo Egitto in cui viviamo teme l'intelligenza e la castiga. L'incapace di intendere e di volere può contare sulle attenuanti.

L'uomo sembra davvero dotato di un tocco che rincretinisce. Persino le bestie più sveglie, se ci frequentano regolarmente, finiscono stupide. Sino a quando se ne stanno fra i loro simili, non succede nulla del genere. Tra il musetto del micio di casa ed il ghigno di quello selvatico c'è la differenza che passa tra un giocattolo ed una belva. Gli animali che si sottraggono alla nostra potatura cerebrale, di norma sono considerati ” cattivi ” e sterminati, il lupo per esempio. Quelli della sua specie che si sono assoggettati, hanno pagato la loro sopravvivenza con una pesante contrazione delle loro capacità intellettive, sono diventati cani e non corrono alcun pericolo di estinguersi.
In Spagna esiste una sottospecie di gatto selvatico che non ha mai accettato contatti con gli esseri umani. Dei ricercatori e neurologi, hanno messo a confronto le capacità intellettuali di questo felino con quelle del comune gatto domestico. Il risultato è stato sorprendente. Nei millenni di convivenza con l'uomo, il gatto ha perso non soltanto un terzo della sua capacità cranica, ma anche circa la stessa percentuale di neuroni (le cellule cerebrali). Questo, a causa di un meccanismo biologico, semplice e spietato, che ha indotto le bestiole a sopprimer le cellule rivelatesi ormai superflue. Il processo di domesticazione ha risolto alcuni dei problemi per i quali i gatti, finché restano selvatici, devono impegnare tutte le loro risorse, non solo fisiche. Ma al felino, diventato mite ospite delle nostre case, è stata tolta la necessità di provvedere a se stesso. E la selezione naturale ha, di conseguenza, eliminato caratteristiche e doti divenuti inutili.

E' detto che per una vita normale, potrebbe bastare una pellicola di corteccia cerebrale di appena 0,5 mm, il resto è acqua. L' uomo allo stato attuale della sua evoluzione, ha bisogno di una quantità limitata di materia cerebrale, e quindi, di intelligenza. Quello che è successo agli animali domestici, si è verificato anche per noi.

Giuseppe Sermonti, docente di genetica all'università di Perugia, diceva, che << soltanto se lo scimpanzé è figlio e non il padre dell'uomo, i dati si rivelano giusti >>. Sarebbe quindi lo scimpanzé a discendere dall'uomo e non viceversa; lo scimpanzé si è evoluto dopo di noi. Le altre specie hanno tutte caratteri definiti: sono carnivore o erbivore, predatrici o no, diurne o notturne, tropicali o polari... Ogni animale è costruito dall'evoluzione naturale per vivere in un determinato ambiente. Le nostre caratteristiche, invece, non presuppongono alcuna specializzazione: l'uomo non è fatto per mangiare carne o verdure, per vivere all'equatore o al polo. Questo indica che siamo una specie arcaica, non molto evoluta, in senso biologico, perché non abbiamo trovato ancora il nostro posto nella natura.

La dilagante imbecillità rende la vita più misera, da ciò partorisce l' indifferenza, la volgarità diffusa, che distruggono piccole cose di grande civiltà che solo il genio poteva inventare: la gentilezza, l'attenzione per l'altro, la cui vita riempe anche la nostra. Solo una specie stupida, autolesionista, può impoverirsi così. Solo la stupidità può essere così feroce e che l'intelligenza è pericolosa; se mette a disposizione degli imbecilli un potere immenso.

I greci, nei loro miti, hanno dato espressione a un insieme ricchissimo e complesso di concezioni sull'uomo, sulla vita, sulla società. Quei racconti non sono creazione di un individuo; non hanno un singolo autore. Sono il costrutto di un intero popolo, di una collettività, di cui ritroviamo, nelle vicende e nei personaggi mitologici, la psicologia, i desideri e le paure ancestrali. Con i miti, i greci esprimevano cosa è bene e cosa è sbagliato. E il bambino doveva impararli a memoria, perché avevano funzione educativa. Dedalo rappresenta l'intelligenza creativa, il genio sempre volto a nuovi progetti.
Per questo il re di Creta, Minosse, incarnazione mitologica della giustizia, lo incarica di costruire un labirinto ( nelle cui circonvoluzioni, si può vedere l' effige del cervello, se si vuole..) . A cosa serve il labirinto? Nel labirinto era prigioniero il Minotauro, mostro per metà uomo e metà toro. Il Minotauro partecipa della natura dell'animale e di quella umana. Ha una forza smisurata; non frena i propri impulsi; non domina il suo potere e i suoi desideri. Il Minotauro è l'essere umano non guidato dalla ragione; siamo noi sino a quando la razionalità non interviene a governare l'istinto, il sentimento. L'intelligenza di Dedalo ( la nostra per capirci ) serve a controllare la natura bestiale dell'uomo. Questo è il significato della prima parte del mito. Ma Dedalo aiutò Arianna e Teseo a violare il labirinto; non ci interessa soffermarci su questa parte del racconto, che invece ha sollecitato molto l'immaginazione dei poeti, musicisti e pittori. L'importante è che Dedalo viene meno al compito, al dovere, della ragione umana: tenere a freno la nostra componente bestiale. Per questo Minosse lo punisce, rinchiudendolo nel labirinto assieme al figlio Icaro. Ma l'intelligenza, l'energia creativa può affrontare ogni ostacolo, e Dedalo non si lascia sgomentare. Trova il modo di uscire dal labirinto. Con delle piume tenute insieme dalla cera, costruisce due paia di ali . E padre e figlio si salvano in volo. Dedalo ammonisce Icaro di non volare troppo in alto, altrimenti il calore avrebbe sciolto la cera, facendolo precipitare. La fine è nota. Icaro ignorò l' ammonimento paterno, e cadde in mare. I greci hanno espresso così il tabù dell'intelligenza: non è vero che non ha limiti; li ha e non deve superarli, pena l'autodistruzione. Insomma troppa intelligenza fa male; c'è un confine oltre il quale la ragione umana non è più un vantaggio, ma un danno.


Nessun commento: