martedì 15 settembre 2009

Il ricordo di una grande giornalista fuori dal coro...mi manca


Firma : Federica Scintu

Per ricordare Oriana Fallaci...
14/09/2009 - 20:10
Il 15 settembre 2006, moriva a Firenze, all’età di 77 anni, Oriana Fallaci. Sono passati tre anni esatti da quel giorno, in cui una delle giornaliste italiane più spregiudicate e controverse cadeva vittima di una malattia incurabile (che lei definiva “l’Alieno”). Per domani è prevista una cerimonia commemorativa presso il Cimitero degli Allori (ore 9:30) a cui parteciperanno il presidente del consiglio regionale della Toscana, Riccardo Nencini, ed i vicepresidente dell’assemblea, Alessandro Starnini e Alessandro Pollina. Ricordare e onorare la memoria di una donna del calibro di Oriana Fallaci non è facile, soprattutto perché la sua grandezza stava proprio nel dividere, nel suscitare clamore per le sue posizioni a volte così estreme e contro-corrente. È stata la prima giornalista italiana a calpestare il terreno di battaglia del fronte, la prima che ha potuto guardare con occhi di donna il dramma della guerra, e da quel momento non è riuscita più a privarsene, nel bene e nel male. Vietnam, morte di Martin Luther King, assassinio di Bob Kennedy, rivolte studentesche, fino al drammatico episodio di Città del Messico (in cui Oriana Fallaci venne gravemente ferita in seguito ad una raffica di mitra), ecc…: lei c’era, anima e corpo, per amore del raccontare, del testimoniare e del denunciare. Queste sono solo alcune delle esperienze che Oriana Fallaci portò all’attenzione del grande pubblico, un pubblico spesso diviso a proposito del suo modo di fare, in merito alle sue opinioni ed alle sue dichiarazioni, così dannatamente cariche di critica e a volte piene di una durezza tale da colpire anche le orecchie più sorde. È stata una giornalista che non ha temuto il giudizio di nessuno, che ha portato avanti il suo pensiero senza badare troppo a chi calpestava, e che già solo per questo si distingue dai più. E soprattutto creava occasioni di dibattito, scaricava sui salotti italiani intrisi di perbenismo e finti moralismi nuovi argomenti di cui discutere, differenti punti di vista. Non amava il politically correct Oriana Fallaci, anzi lo detestava, era una combattente una dissidente. Quindi forse non bisogna limitarsi a capire se si è d’accordo o meno con le sue posizioni, ma leggere i suoi lavori a trecentosessanta gradi, cogliendone anche i particolari apparentemente più infimi, facendo propria la sua capacità analitica, la sua voglia di andare al cuore dei problemi, il suo modo di sviscerare le emozioni e i comportamenti umani più reconditi. Quando Oriana Fallaci decise di trascorrere i suoi ultimi giorni di vita a Firenze, la città si divise: non tutti furono entusiasti, a tanti non piacevano le idee della giornalista a proposito degli attentati dell’11 settembre e della crescente islamizzazione che stava interessando l’Occidente. È passato del tempo, e in un periodo di aridità culturale e passività intellettuale come quello che stiamo vivendo, la sua mancanza si sente. Si sente la mancanza di una giornalista che sappia cantare fuori dal coro.

lunedì 31 agosto 2009

Lettera del direttore del giornale "Avvenire" in risposta al "direttore" del "Giornale"

Non un’“informativa”, ma un’emerita patacca
Il mitico Feltri sventola il giorno dopo un foglio e dice che lui ha in mano i documenti. E, perdinci, cosa fa un giornalista quando gli arriva in mano un documento? Nell'Italia della sprovvedutezza e dell'ignavia, almeno lui agisce e pubblica, punto e chiuso. Già, ma perché prima che sia troppo tardi, non c'è qualcuno che si prende la briga di informarlo che quella che sventaglia come la provvida sciabola della giustizia è solo una traccia contorta e oscura che qualcuno ha confezionato e fatto girare in attesa che un allocco si presti al gioco?

È sorprendente che proprio il Mourinho dei direttori, il più mediatico dei mediatici, il più elegantone degli eleganti, il principe dei furboni, non si sia peritato di sottoporre previamente a qualche conoscitore di cose giuridico-giudiziarie quel cosiddetto documento - e se si trattasse di una banale lettera anonima, degna di ritornare tra quella spazzatura da cui proviene? - per smascherarne eventuali aporie, incongruenze, o addirittura strafalcioni. Nella congerie di insinuazioni di cui si raccontava sul Giornale di venerdì, non avevo neppure fatto troppo caso a dove si diceva che sarei stato da tempo «già attenzionato dalla Polizia di Stato per le mie frequentazioni» (ora, a scriverla, mi manca il fiato).

Le cose assurde erano talmente tante, che onestamente questa non mi aveva colpito più di altre. Fino a quando non mi ci ha fatto tornare Roberto Maroni allorché, con una telefonata per me assolutamente inattesa, ha voluto manifestarmi la sua solidarietà e il senso di schifo che gli nasceva dalle cose lette. Ma il ministro dell'Interno teneva anche ad assicurarmi di aver ordinato un'immediata verifica nell'apparato di pubblica sicurezza che da lui dipende, e che nulla, assolutamente nulla di nulla era emerso.

È solo un esempio, appunto. Ma si potrebbe spulciare riga per riga di quel fantomatico documento (vera «sòla») e controbattere, e far emergere di quel testo anzitutto l'implausibilità tecnica, poi magari quella sostanziale. Lo faremo, se necessario. Fin d'ora però, a me non interessa polemizzare istericamente con Feltri, per allertare invece l'opinione pubblica su qualche altra porcata che puntualmente verrà fuori, e che magari Feltri stesso ha «prudentemente» tenuto per un eventuale secondo tempo. Poi, si sa, una perla cattiva attira l'altra, come le ciliegie.

Rimane però il mistero iniziale: come avrà mai fatto il primo degli astuti a non porsi una domandina elementare prima di dare il via libera alla danza (infernale): questo testo che ho in mano è realmente un'«informativa» che proviene da un fascicolo giudiziario oppure è una patacca che, con un minimo appiglio, monta una situazione fantasiosa, fantastica, criminale? Perché, collega Feltri, questa domandina facile facile non te la sei posta? Ma se te la fossi fatta, sei proprio sicuro di avere vicino a te le persone e le competenze giuste per compiere i passi a seconda della gamba? Non sei corso troppo precipitosamente a inaugurare la tua nuova stagione al timone di quello che non è più un foglio corsaro ma il quotidiano della famiglia del presidente del Consiglio, che ti paga credo lautamente? Ad un certo punto, nella giornata di venerdì, nel sito del Giornale è comparso il testo di un lettore non certo mio amico (alfo.m., che ha trovato spazio anche sul sito dell'Uaar).

Spulciando i vostri articoli, costui annotava «l'incredibile quantità di strafalcioni ed inesattezze giuridiche», e didatticamente li elencava (riproduciamo questa lettera, riquadrata, qui sotto). Peccato che quel contributo sia prontamente sparito dall'online, avrebbe potuto far aprire gli occhi a quelli ancora ingenui che in buona fede credono a quello che scriviamo, e non sanno invece con quanta leggerezza talora impegniamo le nostre truppe in campagne tanto veementi quanto malaccorte.

Un divertissement, per noi lo scrivere, come per qualche volpone o volpina lo era - non più tardi di giovedì sera - aggirarsi per gli stand dell'ignaro Meeting menando vanto per l'imminente cannoneggiamento del tuo giornale. Non importa se il divertissment ammazza moralmente una persona, l'importante è il sollazzo. Una scuola di giornalismo anche questa. Già, ma attento, tu naturalmente sai più cose di me, e tuttavia potresti non esserti accorto che si sta restringendo l'area dei lettori che a noi credono sempre e comunque. L'area di quelli che scorgono, dentro la nostra sciagurata categoria, gli intemerati cavalieri senza macchia e senza paura. Quando anche costoro si desteranno, per quelli di una certa scuola sarà la fine. Peccato che nel frattempo - temo - avranno definitivamente ammazzato la professione. Per ora sappi che hai pestato una cacca ciclopica. Auguri.

Post scriptum:

1) Ho visto che i tuoi amici (Sgarbi, Capezzone, Renato Farina...) sono preoccupati per un'aggressione ai tuoi danni che vedono profilarsi all'orizzonte: essi hanno la mia stima, li condivido e li ringrazio, dobbiamo infatti riuscire a vivere in modo che non ci siano aggressori proprio perché non ci sono aggrediti, nello spirito di quella Perdonanza cui ci richiama Giuliano Ferrara. Non c'è bisogno infatti del conflitto violento neppure nella contesa più aspra, e da parte mia ti prometto che quanto di fondamentale non farà spontaneamente capolino davanti all'opinione pubblica, emergerà civilmente e pacatamente in un tribunale della Repubblica, cui i miei avvocati già lunedì si presenteranno per la querela.

2) Tu e, molto più modestamente io, siamo ormai direttori di lungo corso. Non so tu, ma io ho passato gran parte dei miei quindici anni da direttore a incontrare persone che volevano fare il giornalista, a verificare i loro percorsi, a ragionare sulle loro ipotesi interpretative. Non tutti i contatti sono finiti bene e, non so a te, ma a me è capitato che qualcuno di essi sia tecnicamente finito male, nel senso che alla fine io abbia ritenuto (indovinando, sbagliando? non lo so) che quel dato giovane collega, magari abile, non fosse tuttavia adeguato ad Avvenire. Ecco, permettimi un suggerimento: cerca in questi giorni di non fare del male al tuo giornale e ai tuoi lettori concedendo la ribalta a chi forse appare molto informato (si spiegherà anche lui in tribunale), ma potrebbe mirare soltanto a saldare qualche vecchio conto.

Grazie.

domenica 30 agosto 2009

L'Italia vista dall'estero

Finché ci sarà Berlusconi, l'Italia è «inadatta ai vertici». Questo il titolo di un editoriale con cui il Guardian rilancia le critiche a Silvio Berlusconi e risponde alle affermazioni del premier. Nel giorno di apertura del vertice a L'Aquila, il quotidiano britannico ricorda che il premier italiano, di fronte alle accuse di avere intrattenuto escort nelle sue case a Roma e in Sardegna, dice che gli italiani lo vogliono così. «Questo – si legge - solleva l'interrogativo: se l'Italia vuole Mr. Berlusconi come suo primo ministro, il G8 dovrebbe volere l'Italia?».
Il Guardian si domanda «se l'Italia, dopo un decennio di deriva economica, ora risponda ai requisiti di base per sedersi a qualsiasi tavolo internazionale». E' al 76.mo posto nell'indice della libertà economica dell'Heritage Foundation, dietro a Kirghizistan, Mongolia e Madagascar, fa notare l'editoriale, non firmato, del quotidiano britannico. E' al 55.mo posto nella lista dei Paesi meno corrotti. «I politici italiani sono considerati meno affidabili di quelli di Pakistan, Bielorussia, Azerbaigian, Senegal e Sierra Leone»
I leader riuniti a L'Aquila hanno, secondo il Guardian, tutte le ragioni di chiedersi se sono finiti in uno dei primi Paesi del mondo o in un Paese del Terzo Mondo. «A giudicare dagli standard dell'Italia di libertà economica, corruzione e libertà della stampa, la risposta non è ovvia».
«Berlusconi è il sintomo, ma non necessariamente l'intera causa della deriva del Paese», continua il Guardian. «Gli italiani non sono scandalizzati da lui. Sono sgomentati dal fatto di essere criticati dalla stampa straniera a causa sua, ma non chiedono che l'uomo se ne vada».
Gli italiani «segretamente» ammirano l'abilità dei loro leader a cavarsela quando sono messi alle strette. «Finché gli italiani non cominciano a chiedere seri standard ai propri leader, il Paese forse non è il migliore luogo per vertici mondiali seri», conclude l'editoriale.
Nel merito, in un pezzo con un ampio richiamo sulla homepage del suo sito, il Guardian difende la fondatezza delle proprie notizie.
Nel servizio, intitolato «Silvio Berlusconi contrattacca alle critiche sul summit G8», Julian Borger e John Hooper riferiscono che Berlusconi ha tentato di respingere le accuse che i preparativi del vertice sono stati così caotici da mettere in questione l'appartenenza dell'Italia al G8. L'articolo riferisce che Berlusconi ha definito quanto pubblicato dal Guardian «una colossale cantonata di un piccolo giornale».
Il quotidiano britannico ribadisce che le sue fonti, che non vogliono essere nominate, hanno detto al Guardian che in assenza di iniziative per il summit, Washington aveva organizzato le teleconferenze tra gli sherpa. Il portavoce del ministero degli Esteri italiano ha ribattuto che c'è stato un fraintendimento e che il giro di telefonate era stato organizzato dagli Usa in vista del G20 di Pittsburgh a settembre. Il portavoce ha aggiunto che un'iniziativa sulla sicurezza alimentare, che il Guardian attribuiva agli Usa, era stata in realtà gestita dall'Italia.
Il Guardian scrive che le proprie fonti hanno confermato quanto pubblicato sul quotidiano britannico: «L'Italia ha fatto circolare un documento sulla sicurezza alimentare l'anno scorso, ma al Guardian risulta che l'iniziativa nella sua forma attuale, mirante a sostenere gli agricoltori nei Paesi in via di sviluppo, sia stata messa insieme sotto la leadership Usa. Le telefonate degli sherpa riguardavano principalmente l'incontro del G8 a L'Aquila».
L'articolo concede che anche la Gran Bretagna era stata criticata per l'organizzazione del G20 a Londra lo scorso aprile. E spiega che nei prossimi tre anni gli europei saranno sotto pressione per decidere chi li deve rappresentare nel G8 o nel gruppo più ampio che gli succederà, nel consiglio Onu e nel Fondo monetario internazionale. Le tre istituzioni dovranno essere riformate ed è probabile che ci sia una «diluizione dell'influenza europea» e che alcuni Paesi debbano uscire. Secondo un esperto americano della Brookings Institution, Bruce Jones, «è inevitabile che gli Usa svolgano un ruolo più centrale nella gestione di un G8 allargato».

sabato 29 agosto 2009

L'amministrazione Bush

Patrick Daniel Tillman (San José, 6 novembre 1976 – Sperah, 22 aprile 2004) è stato un giocatore di football americano statunitense che, in risposta agli attacchi del 11 settembre 2001, abbandonò la carriera di sportivo professionista e si arruolò nell'esercito degli Stati Uniti. Venne ucciso in Afganistan da "fuoco amico".
La morte di Tillman divenne una controversia nazionale quando si scoprì che il Pentagono non solo aveva tenuto per settimane nascoste le reali circostanze della sua morte, indicandola inizialmente provocata da fuoco nemico, ma aveva intenzionalmente dato notizie false al fine di costruire utilizzando la morte di Tillman, un mito eroico per ottenere consenso dall'opinione pubblica e distoglierla dallo scandalo delle torture nel carcere di Abu Graib. Solo la tenacia nella ricerca della verità da parte dei familiari di Tillman, specie la madre ed il fratello, ha permesso la precisa ricostruzione degli eventi.
Tillman era un campione del football, nella Nfl, un linebacker degli Arizona Cardinals, un difensore stimato, titolare da diverse stagioni. Nel 2000 aveva addiritura stabilito il record di tackles per la franchigia dell'Arizona: 224. Eppure non si può pensare di giocare a football dopo quello che è successo, diceva. E siccome mai nella vita era stato impulsivo, la sua decisione non arrivata dal giorno alla notte. Durante quella stessa estate del 2001 ci fu per la verità un altro episodio che dimostrò che razza di personaggio era: i St.Louis Rams gli offrirono un contratto quinquennale che gli garantiva un guadagno complessivo di 9 milioni a stagione. Lui disse no, "per lealtà ai Cardinals", spiegò. Ha giocato ancora nella stagione 2001/02, poi ha sposato Marie. Quindi, al ritorno dalla luna di miele, ha scelto: basta football, basta Nfl, era arrivato il momento di fare qualcosa. Si arruolò nell'esercito, nei Rangers, corpo d'elite ma dell'esercito, non i più celebrati Marines: stipendio medio 18.000 dollari l'anno. Per guadagnare quel che avrebbe percepito nei tre anni successivi (48 partite in tutto) gli sarebbero serviti 200 anni nell'esercito. Ma a lui andava bene così. A lui e a suo fratello Kevin, a sua volta atleta di valore, minorleaguer di baseball con l'organizzazione dei Cleveland Indians, disposto a condividere la stessa coraggiosa scelta. Entrambi, per quel coraggio, erano stati premiati dall'emittente sportiva Espn con l'Arthur Ashe Courage award. Insieme sono partiti in missione per il Medio Oriente. Solo che Pat non tornerà, ucciso mentre con i suoi compagni del 75° Reggimento Rangers stava rastrellando la zona a caccia di talebani.
Lo stesso sito della Nfl gloriò Tillman a tutta home page titolando "A true Hero", Un vero eroe, raccontando di una carriera eccezionale, fin dai tempi della scuola. Il diploma con lodi e onori all'high school, la laurea in marketing e la brillante carriera nel college football con Arizona State. E poi l'ascesa in Nfl: 5 stagioni (478 tackles, 3 intercetti, 2 sacks.
È rimasto ucciso durante un pattugliamento da fuoco di militari americani tra le montagne dell'Afghanistan sud-orientale, nell'altra guerra, quasi dimenticata, in Afganistan. Pat Tillman, 27 anni, ex star della National Football League, è la prima vittima famosa nella crociata dell'amministrazione per il dominio di una zona del mondo strategica per i combustibili fossili. La notizia della sua morte ha avuto un enorme impatto sull'opinione pubblica americana, nel giorno della polemica per la pubblicazione delle foto con le bare dei soldati caduti in Iraq.
Era dai tempi di Ted Williams - la superstar del baseball che rinunciò ai cinque migliori anni di carriera per combattere, prima contro Hitler e poi sul fronte della Guerra in Corea - che un campione dello sport Usa non abbandonava il campo da gioco, la fama e i miliardi per difendere la Patria. Quando Tillman aveva deciso di partire per il fronte, insieme al fratello minore Kevin (anch'egli giovane promessa della Nfl) era circolata la diceria infondata che entrambi volessero vendicare una persona cara scomparsa negli attentati dell'11 settembre, ma in realtà Tillman dichiarò di voler seguire la tradizione familiare che aveva visto prima suo nonno poi il padre contribuire militarmente per la loro nazione.
«È partito di nascosto, senza dire nulla a nessuno - spiega un amico -. E anche quando i media l'hanno scoperto, si è sempre rifiutato di concedere interviste per spiegare la sua scelta». Ma chi lo conosceva bene se l'aspettava. «Pat è sempre stato un diverso - scrive il columnist sportivo Mike Freeman - un misto di machismo, umiltà, altruismo ed egocentrismo: un uomo in costante sfida con se stesso. Sin dall'infanzia». A cinque anni, durante un tornado, sgaiattolò fuori dalla casa di famiglia a San José, in California, e si avvinghiò alla cima di un albero. «Voglio sentire il vento sulla faccia», urlò alla madre che cercava di farlo rientrare.
La sua fama di eccentrico lo inseguì durante gli anni all'Arizona State University - dove si è laureato in marketing con una borsa di studio - quando aveva l'abitudine di salire sopra la torre più alta dello stadio (61 metri) per meditare. Per schiarirsi le idee, Tillman rischiava la vita. «Se non lo conosci pensi che sia pazzo da legare - lo aveva difeso Phil Snow, suo allenatore all'Università -. Gli aerei volavano così vicino a lui che avrebbe potuto toccarli. È un tipo davvero temerario». «Mi piacciono le scosse d'adrenalina», si era giustificato lui nel 2000 quando, tediato da una stagione che andava a rilento, aveva deciso di correre la maratona.
«La gente normale quando è annoiata legge un libro - spiega Freeman - Tillman invece compete nel triathlon». I soldi e la fama sembravano quasi dargli fastidio. «Dopo essere entrato nella Nfl si era rifiutato di comprare il cellulare e girava su una vecchia bici - racconta ancora Snow - invece di acquistare un'auto da corsa e altri costosi gadget come i suoi colleghi». Nel 2001, quando rifiutò 9 milioni di dollari dai St. Louis Rams per restare fedele ai Cardinals che gli avevano dato il primo lavoro - ma che erano anche degli eterni perdenti -, la stampa parlò di «ennesima tillmanata».
E anche la sua decisione di arruolarsi nei Ranger non era stata affatto casuale. Uno dei corpi d'elite delle Forze Speciali inviate in Somalia nel ’93 (e al centro del film «Black Hawk Down») i Rangers sono noti per il loro addestramento. Così massacrante e disumano che la maggior parte dei candidati perdono in media 20 chili, e alla fine solo il 30 per cento dei candidati indossa la maglietta nera e oro del corpo. Tillman, ovviamente, era uno di questi.
“È come Forrest Gump. Vuole provare tutto”. Suona macabra ora questa frase di un compagno di Pat Tillman. Aveva lasciato la divisa sportiva per quella da “berretto verde” ed era partito a combattere nella guerra al terrorismo: un eroe del football americano è stato ucciso dai suoi stessi commilitoni. Il campione aveva abbandonato a metà del 2002 una carriera da Defensive Back negli Arizona Cardinals per arruolarsi nell'Esercito. Del resto, cos’è un contratto triennale da 3,6 milioni di dollari quando lo Zio Sam di elargisce uno stipendio da 18mila dollari in un solo anno?
La vita ha imitato il fumetto, e ne ha tratto le più estreme conseguenze. Tillman tornerà in patria in una delle bare d'alluminio piene di ghiaccio e ricoperte dalla bandiera che, contro il parere e gli ordini del Pentagono, sono finite in prima pagina su tutti i giornali Usa. Una bara eccellente, di fronte a ormai centinaia di bare anonime sfilate fino ad oggi di nascosto nell'obitorio della base di Dover dove arrivano da mesi i cadaveri dei caduti. Un paradosso, estremo anche questo, per una star che aveva voluto combattere in assoluto anonimato.
Pat Tillman aveva 27 anni, due anni fa aveva rinunciato a gloria, amore e soldi per imbracciare le armi, per essere in prima linea nella lotta al terrorismo. Sette settimane dopo essere tornato dalla luna di miele, aveva lasciato la moglie e una carriera da star. «Non se la sentiva più di giocare in difesa quando fuori dal campo c'era il suo paese da difendere da un nemico più forte e insidioso in agguato», aveva detto all’epoca un collega del campione. Finito l'addestramento a Fort Benning, dove aveva rifiutato rigorosamente qualsiasi intervista per restare anonimo, uguale a tutti gli altri, nel marzo 2003 Pat era stato inizialmente spedito in Iraq nelle avanguardie dell'invasione, poi era stato trasferito in Afghanistan. Tuttavia Tillman resto ben presto deluso e la sua adesione alla guerra dell'amministrazione Bush diventò presto dissenso ed aperta contestazione: durante il periodo elettorale per il secondo mandato Bush, Tillman esortava apertamente i sui compagni a votare per l'avversario, il democratico Kerry. Tillmam aveva capito che la guerra era tutt'altro che una missione di libertà e contrattacco all'11 settembre e del disinteresse del governo americano per le popolazioni locali
Un metro e ottanta di altezza per cento chili di peso, un misto - dicevano gli amici - di «muscoli e di umilta», Tillman era considerato un modello per i ragazzi americani: oltre alle doti di campione dello sport, si era distinto negli studi al college e finito l'università con una laurea con lode in tecniche del marketing. Il salto di carriera l'aveva fatto con il fratello minore Kevin a sua volta una promessa del baseball. Nei giorni dell'arruolamento era circolata la voce, mai confermata, che avessero perso una persona cara negli attentati dell'11 settembre: questo avrebbe provocato la decisione shock di partire per la guerra. L'anno scorso i due fratelli si erano guadagnati l'Arthur Ashe Courage Award destinato a individui il cui contributo trascende lo sport.

venerdì 28 agosto 2009

Appunti sull' elogio dell' imbecille di Pino Aprile, corrispondenza con un prof. amico di Konrad Lorenz

Appunti sull' elogio dell' imbecille di Pino Aprile, corrispondenza con un prof. amico di Konrad Lorenz


Non crede possibile che molti comportamenti umani tendano a ridurre e non ad aumentare l' uso della intelligenza? E che una cosa del genere sia indotta, o addirittura imposta, dalla società, dalla cultura? Che possa esserci una sorta di selezione culturale ( e forse persino naturale ) che ci condiziona, per costringerci all'imbecillità?

Nell'uomo la selezione culturale è molto potente, forse ormai più incisiva di quella naturale; i comportamenti sociali, o comunque indotti dalla società, tendono a condizionare ed indicizzare le scelte dei singoli.

Il genio umano escogita vie d' uscita per ( quasi ) ogni necessità della nostra vita. E una volta scovata la soluzione del problema, non ci è più necessario far uso della nostra intelligenza: basta copiare. Ma replicare non è inventare; così, le nostre doti intellettuali avvizziscono, perché non stimolate.

L' evoluzione umana è legata al continuo aumento delle facoltà intellettuali. E questo aumento è stato prima quantitativo, poi qualitativo.

Einstein si domandava come mai l' uomo avesse inventato tutto quando vagava sul pianeta in pochi milioni di esemplari, e quasi nulla ora che formicola a miliardi. A questo punto non trovò risposta.
La stupidità intimidisce i grandi, perché ne intuiscono le proporzioni e la pericolosità ( al contrario dell'intelligenza, non ha limiti) .

E che fare degli intelligenti che, nonostante tutto, e in numero sempre più ridotto, continuano a nascere? Eliminarli. La selezione non è solo naturale, è anche culturale; e da molte migliaia di anni lo Homo sapiens sapiens elabora comportamenti e sistemi sociali che provocano lo sterminio dei migliori .

Ogni forma di organizzazione sociale umana ( monarchia, democrazia, dittatura...) lavora contro l'intelligenza e le sue espressioni. Il potere appena può comincia a dar fuoco ai libri.
Il potere di una organizzazione sociale umana è tanto più forte, quanto maggiore è la quantità di intelligenza che riesce a distruggere.

L' insulto ipossico non è altro che una temporanea mancanza d' aria: dal momento in cui il cordone ombelicale viene reciso a quello in cui emette il primo vagito, il neonato non riceve più ossigeno tramite la madre e non è ancora in grado di procurarsene da solo, con il proprio apparato respiratorio. Tra gli altri effetti, questo brevissimo, ma fatale, intervallo asfittico provoca lo sterminio di una certa quantità di cellule neuronali: non meno di 200 o 300 milioni. La cifra non è molto in percentuale, molto alta su un totale di parecchi miliardi, ma si tratta pur sempre di un trauma che raccorcia le capacità intellettive del neonato.

I tessuti che formano il cervello sono i più deperibili di tutto il corpo. Si sviluppano molto rapidamente
nei primi cinque anni di vita; poi continuano a crescere, ma a un ritmo sempre più lento, fino ai vent' anni. Una volta raggiunti i livelli massimi, inizia il deperimento, prima quasi impercettibile ( dai vent' anni in poi muoiono da 50 a 100 mila cellule cerebrali al giorno: circa duemila, quattromila all' ora) ; poi sempre più veloce, inarrestabile, verso la demenza senile.

Al tempo dell' uomo di Neanderthal era normale trovare gente con crani da 1.600 centimetri cubici a 1750 cm cubici, con un peso di circa due kg; l' uomo moderno oggi ha una scatola cranica che si aggira poco più di 1300 – 1350 cm cubici.
Jury Lotman, aveva definito la cultura il cervello della società. E intendeva quel' insieme di conoscenze teoriche e pratiche che possediamo con gli altri membri della comunità.

Ogni colpo di genio, ogni invenzione lascia un sedimento materiale, sia esso un oggetto o un modo di agire... Si chiama utensile. E' tale ciò che può essere adoperato anche dal più idiota.
Utensile può essere uno strumento tecnico, ma anche un metodo logico, una forma di organizzazione sociale e ogni altra cosa che, frutto dell'intuizione di una mente geniale, possa essere adoperata da chiunque, << anche dal più idiota>>. Oggi il mondo stesso è a misura dell'imbecille, al punto che macchine complesse e pericolosissime, organizzazioni planetarie, strutture basilari per la vita umana sono nelle mani di persone universalmente conosciute come cretini, psicotici, affetti da malattie invalidanti delle facoltà che più parrebbero necessarie a certi livelli ( equilibrio, saggezza, intuizione, tolleranza, altruismo, intelligenza) . Basterà pensare a chi erano, nei momenti di maggior tensione e pericolo, i leader delle potenze mondiali, i padroni del destino della Terra. Si diceva che Gerry Ford, il presidente degli Stati Uniti nella prima metà degli anni Settanta, fosse incapace di fare due cose assieme: scendere dalla scaletta dell'aereo e masticare chewing gum. Leonid Breznev, uno dei più longevi leader della vecchia Unione Sovietica, quando non era ubriaco, appariva quel che era: un alcolizzato. Per distruggere il pianeta, avrebbero dovuto solo pigiare un bottone. In quale specie animale due così sarebbero diventati capobranco? Solo fra gli uomini.........


Nella specie umana, le acquisizioni dell'intelligenza si depositano nella cultura, diventano memoria della società. E si trovano, così, a disposizione di tutti. Si ha, a questo modo, un passaggio di conoscenza da tutti a uno e da uno a tutti.


( Perché il capo è un imbecille?-------------------------------------------------------------------------------------)
Lo straordinario sviluppo dell'intelligenza umana avrebbe avuto, come conseguenza estrema, quella di deprimere se stessa, di rendersi superflua.
Nel mondo c' è un numero di imbecilli che non cessa di sorprendermi. Questa situazione è resa ancora più interessante dal fatto che molti, tra questi, occupano posizioni di prestigio e di notevole potere, per cui esercitano una grande influenza sulla vita dei loro simili. Anch'io ho cercato di spiegarmi non solo perché ci siano tanti stupidi, ma perché riescano a fare delle eccellenti carriere.
La risposta, a mio parere, sta nella debolezza umana, e nell'uso insufficiente dell'intelligenza. Il successo di un uomo politico imbecille si spiega col fatto che, in un modo o nell'altro, ha saputo lusingare i lati deboli dei potenti e delle masse. E che, proprio per la sua stupidità, viene ritenuto non pericoloso e più adatto a ricoprire incarichi che una persona di genio gestirebbe con ben altra autorità. Non c'è bisogno di invocare la fine dell'intelligenza! ( questo mi fa pensare a Berlusconi )

Nessuno aveva mai davvero analizzato il problema dell'imbecillità, chiedendosi da dove questa derivi, molti si sono dedicati allo studio dei meccanismi che ne assicurano la diffusione, facendo sì che gli stupidi riescano ad influenzare profondamente la vita di tutto il genere umano ( compresi gli intelligenti ) . Uno dei più noti moltiplicatori di imbecillità è il cosiddetto principio di Peter ( Larence Peter ), che recita : << In qualsiasi gerarchia, ognuno tende ad essere promosso, finché non raggiunge il suo livello di incompetenza; pertanto, ogni incarico è destinato a finire nelle mani di un incapace >>.
Si tratti di strutture aziendali, culturali, politiche, religiose o altro, la regola non cambia.
Chi entra in un sistema gerarchico e svolge bene il proprio lavoro,di solito ” fa carriera ” ; sale sul gradino superiore nella scala. Se anche in quella posizione si dimostra efficiente è ragionevole pensare che sarà ancora promosso . E così via. A questo modo, occupa livelli sempre più elevati, di maggiore responsabilità; ma le complicazioni crescono di pari passo ed aumentano la quantità e la qualità dello impegno e delle doti richieste. Fino a quando il nostro uomo ottiene un incarico con un grado di difficoltà superiore alle sue capacità.
A quel punto, si rivela inefficiente, e la sua carriera si arresta. Attenzione : non verrà degradato, retrocesso ad una posizione adeguata alle sue doti. Continuerà ad occupare il posto che ha fatto emergere la sua natura di incapace e per il quale si è dimostrato inadatto.
Questo principio ha un difetto: è fondato sul presupposto della razionalità. Voglio dire: parte dall'idea che, in una gerarchia, i comportamenti umani, almeno fino ad un certo punto, siano ispirati a criteri ragionevoli . E' in base ad un principio intelligente ( secondo Peter) che viene promosso il migliore, anche se verrà il momento in cui si rivelerà un imbecille. Ma fino ad allora, il meccanismo obbedisce a regole logiche. Non sei scemo, operi bene, e vai avanti; quando ti scopri incapace, la tua corsa finisce. Come mai nonostante il dilagare della stupidità il mondo và a gonfie vele? L' intelligenza non è (più) necessaria per far marciare il mondo: l' imbecillità sa farlo altrettanto bene. E persino meglio.
Il cretino non solo non ha una funzione negativa, ma anzi ha assunto un ruolo salvifico: la sopravvivenza della nostra specie dipende ormai dall'imbecillità, come un tempo dall'intelligenza.
L' imbecillità è necessaria alla sopravvivenza della nostra specie, per quanto possa dar fastidio agli intelligenti rimasti. Se davvero l' imbecillità avesse una funzione distruttiva, le società umane sarebbero al collasso: invece godono di ottima salute e si moltiplicano . Evidentemente, è proprio LA STUPIDITÀ CHE SOSTIENE LE STRUTTURE SOCIALI e ne garantisce il futuro.
Le burocrazie, dunque, contrariamente a quanto male si pensa di loro, hanno una funzione positiva, non malgrado, ma proprio perchè accrescono il numero ed il potere dei cretini. La gerarchia è lo strumento che l' evoluzione ha inventato per raggruppare i sapiens sapiens e costringerli alla demenza.
Se la guerra, espressione dell'aggressività umana, raduna i migliori della specie per sterminarli, il sistema burocratico, espressione del nostro istinto sociale, mette assieme i cervelli e li spegne: è la continuazione della lotta dell'intelligenza, condotta con altri mezzi.

Regola numero uno: << ricorrere alle cose intelligenti, solo dopo aver esplorato le infinite possibilità dell'ovvio >>.
Nelle gerarchie conta chi fa qualcosa, non chi cerca il modo migliore di farla.
L' intelligenza, per le società umane, è sabbia negli ingranaggi; rischia di farne inceppare i meccanismi.
L' intelligenza, mentre valuta con spirito critico il funzionamento delle strutture sociali, di fatto lo rallenta o lo interrompe. Ecco perché la stupidità è necessaria: è la vera linfa vitale della società umana. E' la regola, il motore che la fa marciare.

Le grandi aziende, sono sorte per l' energia e la capacità ( anche visionaria) di persone di valore.

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Le grandi doti intellettuali non si prestano a venir tradotte in un insieme di regole: si esprimono con la creatività, l' originalità, non solo con il metodo. E poi, anche se fosse possibile codificare le azioni geniali, sarebbero necessarie persone di straordinario talento per garantirne l' esecuzione. E' una burocrazia che dovesse dipendere, per il proprio funzionamento, da una merce così rara come il genio, sarebbe spacciata in partenza. L' organizzazione deve poter sopravvivere senza le doti del cervelluto padre fondatore. Può farlo solo se scende alla misura dell'imbecille, in modo da non aver alcuna difficoltà nel reperimento della materia prima. Questo intendeva Stalin, quando disse che persino una cuoca può sostituire un capo di stato (sconsiglierei il contrario) . Se l' organizzazione sociale funziona, non c'è alcuna possibilità di errore: è a portata di cretino ( e chi la guida, o ci fa, oci è) .


Capita che alcuni leader mantengano artificiosamente alti compiti richiesti all' interno della struttura che guidano. Lo fanno per rendersi indispensabili, insostituibili ( se anche uno stupido fosse in grado di svolgerne i compiti, rischierebbero il posto) . Di norma, si tratta di manager di primo piano, bravissimi, ma deleteri, perché, a questo modo, tengono sotto ricatto le aziende ad essi affidate e le condannano a traballare o a sfaldarsi, quando le lasceranno. Violano, la regola fondamentale per il consolidamento e l' efficienza di ogni burocrazia: sminuire continuamente il livello delle qualità minime richieste per farne parte, in modo da espanderla, abbassando il vertice ed allargando la base.
La soluzione più frequente di solito, questa: dividere i suoi compiti fra più persone, per supplire con la quantità al calo di qualità. C' è la mezza convinzione che si possa ottenere un genio sommando due mezzi geni . Appare logico che quello cui era capace un grande, da solo, possa riuscire ad una coppia di mediocri. Ma non è così: ci si accorge ben presto che l' intelligenza non cresce con l' addizione. La non sommabilità dell' intelligenza si rivela essre il grande limite della nostra specie. Con la stupidità, al contrario, l' addizione funziona.
Pertanto le strutture sociali più stupide prosperano, quelle più intelligenti, muoiono. Ne consegue che:
L'imbecillità può solo aumentare.

L' incompetente tende a nascondere la propria incompetenza dietro l' aumento delle competenze. Chi non è capace di fare una cosa, cercherà di farne molte ( se devo fare tutto io, non posso farlo anche bene. E' già tanto che riesca a ....)

Lord Northcot Parkinson diceva, che qualsiasi burocrazia per il semplice fatto di esistere, tende a crescere del 5% annuo.

Ormai ai vertici delle organizzazioni umane ci sono persone che cumulano su di sé una quantità di mansioni impressionante. Si sommano il principio di Peter (a) e la legge di Parkinson (b): <>. Tale sistema (potremmo chiamarlo moto ascendente delle gerarchie, perché porta i più stupidi dal basso in alto) .

Konrad Lorenz diceva: L' economia cresce in maniera esplosiva, da tutte le parti. I sostenitori di questo modello di sviluppo affermano che le aziende devono continuare a ingrandirsi o falliranno. E, per giustificare questa tesi, aggiungono che anche gli alberi crescono continuamente. La crescita sarebbe insomma un fatto naturale.... ma solo fino ad un certo punto. << Gli alberi non crescono mai fino al cielo >>, persino quelli secolari ad un certo punto si fermano . Per tutti gli esseri viventi , diventare troppo grandi, vuol dire diventare vulnerabili, e condannati all'estinzione. Come i dinosauri: di crescita si può morire

Un acuto ricercatore, Erich von Holts, si interessò ai cabacelli, minuscoli pesci che si spostano in branco alla ricerca del cibo. Ogni tanto, uno di loro si stacca dal gruppo e nuota, da solo in una direzione diversa. E non è detto che sia quella giusta: potrebbe non esserci cibo, di là, o persino nascondersi un predatore in agguato. Il cabacello indipendente si volta a guardare cosa fa il branco; soltanto se gli altri, convinti della sua scelta, lo seguono in numero sufficiente, lui, confortato, prosegue
Altrimenti, rientra nel mucchio. E' il modo d' agire tipico degli animali che vivono in branchi, in stormi.
Von Holts privò un esemplare della parte del cervello, quella che sovraintende alle attività di gruppo, alla vita sociale. Il pescetto continuò a comportarsi in tutto e per tutto come gli altri ma, quando si separava dal branco, non si girava più indietro per osservarne le reazioni. Lui tirava dritto, senza esitazioni. E l' intero branco lo seguiva. L' unico pesce senza cervello era diventato il capo indiscusso . E proprio a causa del suo difetto .

Le persone intelligenti stentano a rendersi conto di quanto l' imbecillità sia grande.
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Il più si abbassa al livello del ” meno ” , altrimenti il ” meno” non capirebbe niente ed ogni tipo di relazione diverrebbe impossibile. Questo è il moto discendente che regola i rapporti fra gerarchie e ne aumenta le dimensioni e il grado di imbecillità . Indipendentemente dai talenti personali, in una burocrazia, per convenzione, chi occupa un posto inferiore è inferiore . Al contrario in un cenacolo di geni, conta solo il libero e mutuo riconoscimento del rispettivo valore.
In una burocrazia, il capo è il capo, perché occupa tale posizione, non perché sia il migliore. E può benissimo essere più scemo dell'ultimo fattorino: non vuol dire nulla, è lui che comanda; perché lui è il capo.
I giudizi di valore sono del tutto assenti nei sistemi burocratici, perché la struttura gerarchica li ha resi inutili ed ha così sancito la fine del vantaggio costituito dall'intelligenza . L'imbecillità è al potere. Ed il potere non ha bisogno di genio.
Nell'antico Egitto il ladro più ingegnoso non veniva castigato, gli si riconosceva, in premio, parte del bottino. Per il furto? No ( era reato ), per l' intelligenza. L'Egitto aveva bisogno di genio e cercava di farlo emergere in tutti i modi. Un ladro intelligente può diventare onesto; un cretino probo resta cretino, e c'è il rischio che si metta pure a rubare.
Oggi il codice punisce con una pena maggiore il furto con destrezza. Per il furto? No, per la destrezza. Il nuovo Egitto in cui viviamo teme l'intelligenza e la castiga. L'incapace di intendere e di volere può contare sulle attenuanti.

L'uomo sembra davvero dotato di un tocco che rincretinisce. Persino le bestie più sveglie, se ci frequentano regolarmente, finiscono stupide. Sino a quando se ne stanno fra i loro simili, non succede nulla del genere. Tra il musetto del micio di casa ed il ghigno di quello selvatico c'è la differenza che passa tra un giocattolo ed una belva. Gli animali che si sottraggono alla nostra potatura cerebrale, di norma sono considerati ” cattivi ” e sterminati, il lupo per esempio. Quelli della sua specie che si sono assoggettati, hanno pagato la loro sopravvivenza con una pesante contrazione delle loro capacità intellettive, sono diventati cani e non corrono alcun pericolo di estinguersi.
In Spagna esiste una sottospecie di gatto selvatico che non ha mai accettato contatti con gli esseri umani. Dei ricercatori e neurologi, hanno messo a confronto le capacità intellettuali di questo felino con quelle del comune gatto domestico. Il risultato è stato sorprendente. Nei millenni di convivenza con l'uomo, il gatto ha perso non soltanto un terzo della sua capacità cranica, ma anche circa la stessa percentuale di neuroni (le cellule cerebrali). Questo, a causa di un meccanismo biologico, semplice e spietato, che ha indotto le bestiole a sopprimer le cellule rivelatesi ormai superflue. Il processo di domesticazione ha risolto alcuni dei problemi per i quali i gatti, finché restano selvatici, devono impegnare tutte le loro risorse, non solo fisiche. Ma al felino, diventato mite ospite delle nostre case, è stata tolta la necessità di provvedere a se stesso. E la selezione naturale ha, di conseguenza, eliminato caratteristiche e doti divenuti inutili.

E' detto che per una vita normale, potrebbe bastare una pellicola di corteccia cerebrale di appena 0,5 mm, il resto è acqua. L' uomo allo stato attuale della sua evoluzione, ha bisogno di una quantità limitata di materia cerebrale, e quindi, di intelligenza. Quello che è successo agli animali domestici, si è verificato anche per noi.

Giuseppe Sermonti, docente di genetica all'università di Perugia, diceva, che << soltanto se lo scimpanzé è figlio e non il padre dell'uomo, i dati si rivelano giusti >>. Sarebbe quindi lo scimpanzé a discendere dall'uomo e non viceversa; lo scimpanzé si è evoluto dopo di noi. Le altre specie hanno tutte caratteri definiti: sono carnivore o erbivore, predatrici o no, diurne o notturne, tropicali o polari... Ogni animale è costruito dall'evoluzione naturale per vivere in un determinato ambiente. Le nostre caratteristiche, invece, non presuppongono alcuna specializzazione: l'uomo non è fatto per mangiare carne o verdure, per vivere all'equatore o al polo. Questo indica che siamo una specie arcaica, non molto evoluta, in senso biologico, perché non abbiamo trovato ancora il nostro posto nella natura.

La dilagante imbecillità rende la vita più misera, da ciò partorisce l' indifferenza, la volgarità diffusa, che distruggono piccole cose di grande civiltà che solo il genio poteva inventare: la gentilezza, l'attenzione per l'altro, la cui vita riempe anche la nostra. Solo una specie stupida, autolesionista, può impoverirsi così. Solo la stupidità può essere così feroce e che l'intelligenza è pericolosa; se mette a disposizione degli imbecilli un potere immenso.

I greci, nei loro miti, hanno dato espressione a un insieme ricchissimo e complesso di concezioni sull'uomo, sulla vita, sulla società. Quei racconti non sono creazione di un individuo; non hanno un singolo autore. Sono il costrutto di un intero popolo, di una collettività, di cui ritroviamo, nelle vicende e nei personaggi mitologici, la psicologia, i desideri e le paure ancestrali. Con i miti, i greci esprimevano cosa è bene e cosa è sbagliato. E il bambino doveva impararli a memoria, perché avevano funzione educativa. Dedalo rappresenta l'intelligenza creativa, il genio sempre volto a nuovi progetti.
Per questo il re di Creta, Minosse, incarnazione mitologica della giustizia, lo incarica di costruire un labirinto ( nelle cui circonvoluzioni, si può vedere l' effige del cervello, se si vuole..) . A cosa serve il labirinto? Nel labirinto era prigioniero il Minotauro, mostro per metà uomo e metà toro. Il Minotauro partecipa della natura dell'animale e di quella umana. Ha una forza smisurata; non frena i propri impulsi; non domina il suo potere e i suoi desideri. Il Minotauro è l'essere umano non guidato dalla ragione; siamo noi sino a quando la razionalità non interviene a governare l'istinto, il sentimento. L'intelligenza di Dedalo ( la nostra per capirci ) serve a controllare la natura bestiale dell'uomo. Questo è il significato della prima parte del mito. Ma Dedalo aiutò Arianna e Teseo a violare il labirinto; non ci interessa soffermarci su questa parte del racconto, che invece ha sollecitato molto l'immaginazione dei poeti, musicisti e pittori. L'importante è che Dedalo viene meno al compito, al dovere, della ragione umana: tenere a freno la nostra componente bestiale. Per questo Minosse lo punisce, rinchiudendolo nel labirinto assieme al figlio Icaro. Ma l'intelligenza, l'energia creativa può affrontare ogni ostacolo, e Dedalo non si lascia sgomentare. Trova il modo di uscire dal labirinto. Con delle piume tenute insieme dalla cera, costruisce due paia di ali . E padre e figlio si salvano in volo. Dedalo ammonisce Icaro di non volare troppo in alto, altrimenti il calore avrebbe sciolto la cera, facendolo precipitare. La fine è nota. Icaro ignorò l' ammonimento paterno, e cadde in mare. I greci hanno espresso così il tabù dell'intelligenza: non è vero che non ha limiti; li ha e non deve superarli, pena l'autodistruzione. Insomma troppa intelligenza fa male; c'è un confine oltre il quale la ragione umana non è più un vantaggio, ma un danno.


mercoledì 19 marzo 2008


18 Marzo 2008
Vieira - Dalai Lama 1-0
Il massacro dei tibetani è sulle prime pagine dei più importanti giornali del mondo libero. Da noi è un po' meno presente. Questione di priorità. In Italia l'informazione è serva, ma in modo comico, surreale, cialtronesco. Gli articoli sono palle colorate lanciate in aria dai clown dell'informazione assunti come direttori di giornali.Il Corriere della Sera di ieri. Prima pagina. Foto centrale con "Vieira fa gol per Mancini" , 12 cm x 14,5, e sulla destra un titolo "Marina fa l'elogio di Luxuria, 2 cm x 11,5. In alto a destra un richiamo al Dalai Lama, 5 cm x 5,5 titolo e inizio articolo compresi e subito sotto un lancio dell'intervista a Andrè Glucksmann "Boicottare i Giochi non serve a nulla", 6,5 cm x 5,5: un centimetro più del Dalai Lama.Il lettore che ripone la sua fiducia in Paolo Mieli e nel "salotto buono" del Corriere si inoltra a questo punto nella lettura delle pagine interne. Cerca, come è naturale, la notizia del giorno. Tibet, Lhasa, Dalai Lama, Cina, Giochi Olimpici. Pagina 2 e 3 sono dedicate alle amministrative in Francia. Certo, sono importanti, ma il Tibet? Sfogliamo. A pagina 5, dopo la pubblicità, c'è una foto di Testa d'Asfalto, 13 cm x 13,5, sotto il titolo "Protesta sulle pensioni, Berlusconi frena", 28,5 cm x 1,5. Andiamo avanti. Pagina 6 è dedicata a "La cura Air France all'esame del governo", titolo da 29,5 cm x 1 e due foto 2 cm x 2 della coppia Formigoni - D'Alema con le loro dichiarazioni in box virgolettati da 7 cm x 2.Dopo le fondamentali opinioni dei nostri statisti Lhasa può sempre attendere. Doppia pagina 8/9 sul servizio "Emergenza imballaggi", titolo monstre 24,5 cm x 2,5 e una foto con gli ortaggi di stagione 37 cm x 24. Pagina 10 e 11 a questo punto non ci deludono. Della repressione cinese ancora non c'è una riga, ma le interviste riportate sono fondamentali. Titoli: "Veltroni sfida il Cavaliere. Siete voi che copiate" 17 cm x 3, "Capotondi: non corro, vorrei Silvio e Walter insieme" 26 cm x 1, "Mussi, il trapianto e la politica. Mi ha salvato mia moglie", 17 cm x 3. E' presente in una colonna personale di 33 cm x 4 anche l'immancabile monito dal Colle "Napolitano: politica urlata un danno alle istituzioni".Sfinito, anche il più accanito lettore di Romano e Severgnini non si aspetta più nulla sul Dalai Lama e, infatti, lo accolgono a pagina 12 la pubblicità e a pagina 13 a famiglia Berlusconi, mezza pagina a testa per il papà Silvio e la figlia Marina. In alto: "Berlusconi: urne, c'è il rischio di brogli", 25 cm x 1,5 e, sopra il titolo, "Per vigilare sulle elezioni ci sarà l'esercito dei difensori della libertà. E ricorda la prima fidanzata" 23 cm x 0,5. Sotto: "Marina a sorpresa: mi piace Luxuria è preparata e spiritosa" 9,5 cm x 4. Le foto del papà con folla adorante, 26, 5 cm x 7,5, e della figlia, 15 cm x 9,5, completano la pagina. Ma non bisogna mai disperare. Infatti, a pagina 14 c'è il Tibet con il titolo su due righe "In Tibet genocidio culturale. Ma no al boicottaggio dei Giochi" 21, 5 cm x 3 e a pagina 15, a fronte l'intervista a Glucksmann "Disertare Pechino? Così non serve" 20,5 cm x 1,5. Il messaggio di pagina 14 e 15 è quello di non disertare i Giochi. La libertà del Tibet può attendere.Per curiosità ho confrontato il Corriere con il Financial Times di ieri.

Foto centrale della prima pagina con la protesta dei monaci

venerdì 4 gennaio 2008


Dini, 77 anni e 7 nuovi punti per il Governo, non si arrende. Pensa al futuro. E’ lui il nonno nuovo. Il nonnino sempreinpiedi della politica. Nel 2006 votò per l’indulto. La moglie Donatella Pasquale Zingone Dini è stata condannata a dicembre 2007 a due anni e quattro mesi per il fallimento di quaranta miliardi della società Sidema di cui era amministratrice delegata. Per bancarotta fraudolenta. Reato condonato dall’indulto del mastellone ceppalonico. Che culo.Dini dovrebbe aggiungere un punto ai sette proposti. Chiedere che sua moglie non goda dell’indulto. Monica Lewinsky ha fatto quasi dimettere Clinton per una prestazione privata. Dini non mi risulta ne abbia avute. Ma se Hillary fosse stata condannata per bancarotta, la carriera di Bill sarebbe finita il giorno dopo. Non puoi pretendere di governare il Paese se non sai neppure gestire la tua famiglia. Al massimo puoi andare ai giardinetti.Dini ha scatenato la Guerra dei Nonni. Punta alla presidenza della Repubblica insidiando Napolitano, 83 anni, ma anche alla presidenza del Senato di Marini, 75 anni. Nel frattempo si accontenterebbe di presiedere un Governo tecnico al posto di Valium Prodi, 69 anni, o dello psiconano, 72 anni.Nella Guerra dei Mondi i tripodi uscivano da sottoterra per sterminarci. I nostri nonni governativi escono dagli ospizi per entrare in Parlamento con lo stesso obiettivo. Il Governo è al sicuro grazie al voto dei senatori a vita. La Montalcini dai capelli turchini ha l’età di una trisavola e Andreotti è prescritto a vita e quindi non può morire. I costi della politica sono destinati ad aumentare. Badanti, infermieri, accompagnatrici e ambulanze per ricoveri d’urgenza in Piazza Montecitorio ci costeranno una Finanziaria.“Quant’è bella la vecchiezza, che non fugge tuttavia. Di doman non v’è certezza. La dentiera fischia e va”.
Postato da Beppe Grillo il 01.01.08 18:23